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equo compenso atto dovuto

Proposta di legge sull’equo compenso: quale vantaggio per i periti assicurativi?

La proposta AC 3179 del 25 giugno 2021

Il testo finale AC 3179-A/R del 6 ottobre 2021, approvato alla Camera il 13 ottobre 2021

Quali rimedi?

Introduzione

La proposta di legge AC 3179/2021 (Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali), di iniziativa Meloni, Morrone, Mandelli, presentata alla Camera il 25 giugno 2021, ha subìto nel corso dell’iter parlamentare varie modifiche fino ad approdare al testo finale approvato il 13 ottobre 2021, trasmesso al Senato il giorno successivo. Il testo definitivo licenziato alla Camera vedeva confluire nella proposta Meloni varie altre proposte, subendo i rimaneggiamenti utili a renderla più efficace sotto vari punti di vista (proposta AC 3179-A/R, che assorbe le proposte 301-1979-2192-2741-3058, disponibile nella versione del 6 ottobre 2021 al seguente link:

http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.3179_AR.18PDL0159550.pdf

Il testo è ora all’esame in commissione in Senato (AS 2419) – II Commissione permanente (giustizia):https://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/54482.htm

https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01315057.pdf

Ciononostante, la riforma in corso non ancora soddisfa tutti i possibili destinatari.

La proposta AC 3179 del 25 giugno 2021

Limitatamente al campo di indagine che si è scelto di considerare, appaiono doverose alcune riflessioni di carattere generale volte a verificare se la proposta possa avere ripercussioni positive sulla categoria dei periti assicurativi di cui all’art. 156 del D. Lgs. 209/2005, iscritti al ruolo di cui al successivo art. 157.

In questa prima occasione di commento ci soffermeremo solo su alcuni aspetti salienti di evidenza lampante, rinviando ad altra sede per ulteriori approfondimenti.

Partiamo dall’originario testo della proposta AC 3179, inizialmente alquanto carente.

Osservandola più da vicino, essa sicuramente deludeva le aspettative che prometteva, pur condensando al meglio i contenuti delle altre proposte avanzate.  

Leggendo la breve relazione illustrativa che l’accompagnava, ci si accorge della malcelata contraddizione nascosta tra le righe, che nell’articolato diveniva ancor più grave, stante lo scostamento dalle premesse enunciate. Si scriveva, infatti, qua e là nell’introduzione, che la proposta intendeva tutelare il diritto di tutti i professionisti a conseguire un equo e giusto compenso nei rapporti contrattuali che lo riguardano, in conformità sia all’art. 2233 cc (compenso adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione) sia all’art. 36 della Costituzione (retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro). Si aggiungeva poi che la proposta voleva seguire il solco dell’art. 19 quaterdecies del D. L. 148/2017 conv. in legge 172/2017, che aveva esteso l’equo compenso previsto per le professioni forensi (art. 13 bis, l. 247/2012) a tutti i professionisti di cui all’art. 1 della l. 81/2017 (cd. Jobs Act), anche iscritti agli ordini e collegi, quindi professionisti appartenenti a professioni ordinistiche e professionisti appartenenti alle cd. professioni non regolamentate, oggetto, come noto, della l. 4/2013, cui però non si faceva alcun cenno.

L’obiettivo era quello di “reintrodurre l’equo compenso in favore di tutte le categorie di professionisti” (pag. 2 della relazione),con l’intento di eliminare finalmente ogni distinzione dando attuazione concreta ad un obiettivo già mancato con il precedente art. 19 quaterdecies cit. Infatti, come noto, il predetto articolo è rimasto lettera morta proprio con riferimento alle professioni non protette nel senso più ampio del termine.

Venendo al nostro caso, come si è avuto modo di precisare più diffusamente in altre occasioni, la professione di perito assicurativo è un po’ a metà strada tra i due summenzionati estremi, in quanto non è una professione ordinistica nel senso proprio, perché priva di un ordine e di un albo, ma nemmeno può dirsi a tutti gli effetti non protetta in quanto disciplinata da una normativa ad hoc, con previsione di un esame di idoneità e iscrizione in un ruolo nonché destinataria di una ben precisa riserva di legge. Sicuramente, alla luce della definizione data poi dalla l. 4/2013, tecnicamente la professione peritale non rientra nella nozione di professione non regolamentata, come meglio si dirà oltre.

Sennonché, a quel primo e lodevole intento programmatico di ampio respiro di cui poc’anzi, seguiva, nel testo originario, un continuo riferimento alle professioni tradizionali, ai loro ordini, a parametri o tariffe fissati nei decreti ministeriali e così via.

Di fatto, l’articolo 1, dopo aver definito l’equo compenso come “la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”, specificava che esso doveva essere altresì conforme ai compensi rispettivamente previsti nel decreto ministeriale per le professioni forensi e nei decreti ministeriali adottati dalle autorità vigilanti,  ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per tutte la altre professioni di cui all’art. 1, l. 81/2017, anche iscritte in ordini e collegi.

Nel riprodurre testualmente il testo dell’art. 19 quaterdecies cit. (del quale, tra l’altro, si prevedeva l’abrogazione all’art. 10, ora art. 12), la proposta, formalmente ricomprendeva tutti i professionisti, ma concretamente riproponeva la frattura già perpetrata in quella norma ai danni delle professioni non protette, sprovviste di ordine o collegio, per le quali non esiste la previsione né la possibilità concreta, al momento, di recepimento in un decreto ministeriale di tariffe o parametri che dir si voglia. Insomma, nel riprendere pedissequamente il testo della precedente norma del 2017, la proposta non faceva nessun passo in avanti.

Se formalmente si estendeva l’equo compenso a tutti i professionisti, concretamente i professionisti non iscritti in ordini o collegi sarebbero stati di nuovo tagliati fuori a causa della mancanza dei parametri e dei decreti ministeriali senza poter avere un effettivo beneficio in sede contrattuale con i committenti forti. Ancora una volta un equo compenso di serie “b”. Infatti, a cosa mai ci si potrà riferire in sede di stipulazione e sottoscrizione delle famose “convenzioni capestro” se mancano i parametri di riferimento cui rapportare i compensi? Si potrà argomentare all’infinito sul presupposto teorico della proporzionalità ed adeguatezza, ma in termini economici, quali cifre garantiscono la giusta misura del compenso senza gli standard di riferimento?

La proposta sul punto, si ripete, non risolveva il problema, tant’è che, come ampiamente denunciato da Confprofessionisti e altre associazioni di categoria, essa meritava degli aggiustamenti.  Interessantissimo anche l’art. 3 della proposta, che aggiungeva alcuni commi all’art. 2233 cc. Però, anche qui il testo conteneva continui riferimenti alle professioni ordinistiche laddove si prevedeva la nullità delle clausole che non contemplassero un compenso equo e proporzionato: “sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri o dalle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto ministeriale ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, per la professione forense” (comma 1). Sicuramente apprezzabile, invece, un cenno ai costi sostenuti dal professionista, voce di cui tener conto ai fini dell’equo compenso e spesso oggetto di incresciose pattuizioni forfettarie.

Continuava il comma 3 dell’originario art. 3 cit.: “Il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri ministeriali o le tariffe in vigore, relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari”.

Principio ribadito al successivo art. 4 (disciplina dell’equo compenso) dove si specificava il modo di procedere del giudice investito che, si ribadisce, “accertata la non equità del compenso del professionista, ne determina il compenso applicando i parametri previsti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27” (comma 1).

Insomma, questo riferimento costante ai parametri e ai decreti ministeriali per le professioni ordinistiche sembrava un mantra incessante contenente una triste condanna. Quella che decretava, ancora una volta, l’esclusione di una fetta notevole di professionisti dai benefici che la legge vorrebbe apportare.

La proposta affronta poi l’altro aspetto della vessatorietà delle clausole contenute nelle convenzioni, ma non è qui il caso di soffermarsi anche su questo ulteriore e spinoso capitolo della faccenda che richiederebbe un approfondimento notevole e su cui si spera di tornare, partendo proprio dalle convenzioni sottoscritte tra periti assicurativi e compagnie committenti.

Infine, un cenno all’originario  art. 8, che, nell’istituire l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso presso il Ministero di giustizia (comma 1), specificava che esso “è composto da un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali ed è presieduto dal Ministro della giustizia o da un suo delegato”. Insomma, l’equo compenso è per tutte le professioni, protette e non protette, ma ancora una volta quelle non protette non erano ammesse a far parte di un organismo così importante che dovrebbe avere una notevole voce in capitolo in materia.

Il testo finale AC 3179-A/R del 6 ottobre 2021, approvato alla Camera il 13 ottobre 2021

Dopo le notevoli e marcate critiche mosse soprattutto dalle categorie rientranti nelle cosiddette professioni non regolamentate, quelle di cui alla l. 4/2013 per intenderci, il testo originario è stato rivisto, riadattato, ricucito, modificato con il risultato di aver accontentato sicuramente un’altra ampia porzione di professionisti, lasciata prima scoperta. Ma, ancora una volta, alcuni sono rimasti fuori. E tra questi spiccano purtroppo proprio i periti assicurativi, la cui voce probabilmente non è stata opportunamente accolta o ascoltata.

La prima considerevole modifica che emerge nel testo definitivo approvato alla Camera è già nella nuova versione dell’art. 1. Inalterato nella definizione di equo compenso di cui al comma 1, nonché nella lettera a), relativa agli avvocati, nelle successive lettere b) e c) esso precisa e distingue tra professionisti iscritti agli ordini e collegi, per i quali il punto di riferimento è costituito dai parametri recepiti dai decreti ministeriali del ministro vigilante, e professionisti di cui al comma 2 dell’art. 1, l. 4/2013, per i quali i parametri saranno adottati dal Mise entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sentite le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 7, art. 2 della stessa l. 4/2013.

Con grande esultanza delle categorie favorite, le cd. professioni non regolamentate, che cadono sotto l’ampio mantello della l. 4/2013, sono state espressamente tirate dentro la riforma. Ma, se è vero, come manifestato da più parti, che esistono professioni non regolamentate che non rientrano nella legge 4/2013 e/o che non appartengono ad associazioni rappresentative che possano intraprendere un dialogo con il Mise, di cui il nostro tessuto sociale pullula, ancora una volta ci si ritrova di fronte ad una esclusione di una qualche porzione di professionisti. E sembra che i periti assicurativi siano tra questi.

Infatti, come già si accennava sopra, i periti assicurativi non rientrano nell’ambito di applicazione della legge 4/2013, che, all’art. 1, comma 2, definisce così la professione non organizzata:

“Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attivita’ economica, anche organizzata, volta alla prestazione  di servizi o di opere a  favore  di  terzi,  esercitata  abitualmente  e prevalentemente mediante lavoro  intellettuale,  o  comunque  con  il concorso di questo, con  esclusione  delle  attivita’  riservate  per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi  dell’art.  2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attivita’ e dei  mestieri  artigianali,  commerciali  e  di  pubblico   esercizio disciplinati da specifiche normative.

Riprendendo quanto già anticipato a proposto della natura ibrida della professione dei periti assicurativi ex art. 156 CAP, è evidente che questi non sono iscritti in ordini o collegi, ma in un ruolo; che tale ruolo fa capo a Consap e che di certo le associazioni dei periti non ottengono l’iscrizione all’elenco presso il Mise, non come periti assicurativi in quanto tali. Quindi: chi recepisce i loro parametri? Consap? Il Ministero dell’economia e delle finanze che la controlla? E ancora: chi dialoga e vigila sull’applicazione della legge in favore dei periti? Perché di associazioni e sindacati rappresentativi a livello nazionale ve ne sono e per di più redigono tariffe e norme deontologiche di notevole pregio e spessore. Però non sembra che nella legge ci sia per loro spazio, come si vedrà ancora un po’ oltre. Insomma, davvero il vulnus relativo a questa figura così contestata sembra non volersi colmare.

Sarebbe stato più opportuno conservare l’originaria formulazione della norma che faceva riferimento ai professionisti di cui al citato art. 1, l. 81/2017 (cd. Jobs Act), che ricomprende tutti i lavoratori autonomi senza distinzione alcuna, iscritti e non iscritti in ordini e collegi, regolamentati o non regolamentati, spesso facenti capo ad associazioni di grande prestigio, ma non per forza iscritte nell’elenco tenuto dal Mise. Insomma, l’introduzione del riferimento alla l. 4/2013, anziché risolvere il problema, pare lo abbia acuito. Forse rispetto ad una porzione più limitata di professionisti, ma sicuramente lo ha evidenziato. L’esclusione salta ancora di più agli occhi, purtroppo.  

Ugualmente all’art. 3, comma 1, è stato meglio specificato che sono nulle le clausole che stabiliscono un compenso non equo e proporzionato in contrasto con i parametri stabiliti con decreti ministeriali per i professionisti iscritti in ordini e collegi oppure con decreto del Mise già citato all’art. 1 comma 1 lett. c), per i professionisti appartenenti alla l. 4/2013.

Riscritto completamente l’art. 4, che, nell’attribuire al giudice investito della valutazione della non equità del compenso, perde ogni riferimento ai parametri delle varie categorie.

Il testo definitivo del nuovo articolo 5, in cui è stata travasata la disciplina dell’equo compenso prima contenuta nell’art.4, costituisce la novità più significativa, rinnovando un marcato ruolo di spicco degli ordini e collegi:

“I parametri di riferimento delle prestazioni professionali sono aggiornati ogni due anni su proposta dei Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali (comma 3).

I Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali sono legittimati ad adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso (comma 4).

Gli ordini e i collegi professionali adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali, nonché a sanzionare la violazione dell’obbligo di avvertire il cliente, nei soli rapporti in cui la convenzione, il contratto o comunque qualsiasi accordo con il cliente siano predisposti esclusivamente dal professionista, che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni della presente legge (comma 3)”.

Qui non c’è più spazio nemmeno per le professioni di cui alla l. 4/2013, non essendo in nessuno modo menzionate.

Infine, sembra sia stato compiuto un passo in avanti quanto all’Osservatorio Nazionale sull’equo compenso, ora previsto all’art. 10.

“L’Osservatorio è composto da un rappresentante nominato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali, da cinque rappresentanti, individuati dal Ministero dello sviluppo economico, per le associazioni di professionisti non iscritti a ordini e collegi, di cui al comma 7 dell’articolo 2 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, ed è presieduto dal Ministro della giustizia o da un suo delegato (comma 2).

Sicuramente innovativo l’inserimento del rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che dovrebbe poter garantire una voce in capitolo a tutti i professionisti indistintamente, ma ancora una volta si ammettono i soli rappresentanti delle associazioni di professionisti iscritte all’elenco presso il Mise di cui alla l. 4/2013.

Quale spazio nell’osservatorio per le associazioni di periti assicurativi normalmente non iscritte presso il Mise e per i sindacati di periti assicurativi maggiormente rappresentativi a livello nazionale?

Quali rimedi?

Purtroppo al momento pare che per i periti assicurativi non ci siano ampi margini di novità e di evoluzione, a meno che non si riesca ad ottenere modifiche opportune in sede di approvazione al Senato. Essi si ritroveranno ancora a “combattere” nelle varie sedi contrattuali per ottenere il giusto ascolto, per mettere le giuste pezze di rattoppo e continueranno a rivivere le frustranti e laceranti contraddizioni nelle estenuanti trattative con le imprese assicurative, grandi committenti.

Di positivo c’è che le imprese assicurative dovranno incominciare ad adeguarsi alle nuove regole quanto meno con riferimento alle clausole vessatorie; ma anche qui, non si può parlare di piena attuazione a causa delle lacune connesse alle figure rappresentative della categoria. Ma di questo si parlerà in altro momento.  

Quanto ai possibili rimedi applicativi, se la proposta dovesse restare così com’è, sembra rimanere uno spiraglio già considerato, ma mai attuato, all’indomani dell’approvazione dell’art. 19 quaterdecies cit.. Si era, infatti, indicato nel Tavolo tecnico di confronto permanente, previsto dall’art. 17 della l. 81/2017 (il più volte citato Jobs Act per il lavoro autonomo) uno strumento quanto mai utile per avviare un confronto che consentisse di arrivare a soluzioni condivise. Il Tavolo ha il compito di formulare proposte e indirizzi operativi in favore di tutte le categorie di professionisti e lavoratori presenti nell’ampio spettro del lavoro autonomo, di cui fanno parte sia le professioni ordinistiche che quelle non ordinistiche. Esso è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed è composto da rappresentanti del Ministero e dai rappresentanti delle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori maggiormente rappresentative a livello nazionale. In quel consesso si è parlato di equo compenso fin dall’indomani dell’entrata in vigore del Jobs Act; il Tavolo è stato considerato il punto cruciale dell’incontro delle istanze delle varie categorie su di un tema così importante, divenuto vitale all’esito della forte crisi generata dalla pandemia da Covid 19 in cui si sono ritrovati proprio i liberi professionisti meno protetti.

In una importantissima riunione svoltasi nel lontano 23 maggio 2017, l’allora ministro del lavoro Giuliano Poletti, guardava con grande auspicio il possibile ruolo del Tavolo in materia proprio di equo compenso: “C’è spazio per lavorare sul tema dell’equo compenso, argomento che va giustamente affrontato in quanto è legittimo che ci sia qualche standard a cui riferirsi”  (v. al linkhttps://www.anmvioggi.it/notizie-della-settimana/297-attualita/65126-professioni-e-professioni-crescono-le-non-regolamentate.html).

Il 17 dicembre 2020 si è svolta la riunione inaugurale del Tavolo tecnico, con la presenza del ministro Nunzia Catalfo e di numerosi organismi rappresentativi delle varie categorie di lavoratori autonomi e professionisti. In quella sede, ancora una volta, con richiesta corale e accorata, si è fatta presente la necessità di occuparsi di equo compenso per tutti i professionisti, senza distinzione tra quelli iscritti e quelli non iscritti in albi o collegi (v. al link https://www.anmvioggi.it/in-evidenza/70454-equo-compenso-e-un-fondo-anti-crisi-sul-tavolo-catalfo.html).

Sarebbe quanto mai auspicabile un intervento del Tavolo su questo tema, una azione effettiva ed efficace che coinvolga sicuramente le associazioni iscritte al Mise ai sensi dell’art. 2, comma 7, l. 4/2013 sulle professioni non regolamentate, ma anche tutte le altre associazioni di categoria maggiormente rappresentative, tra le quali, si ripete, quelle a tutela della categoria peritale. La grande opera di raccolta e redazione di tariffe e parametri compiuta da queste associazioni, in puro spirito di autoregolamentazione, potrebbe costituire il substrato ottimale per mettere finalmente mano alla redazione di quei tanto agognati parametri destinati a confluire in decreti ministeriali (che potrebbero essere adottati proprio dal Mise), riempiendo il vuoto che ancora impedisce ai periti assicurativi di fare quel salto di cui tanto hanno bisogno.

8 dicembre 2021

© avv. Annunziata Candida Fusco https://avvocatofusco.com

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