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Zamparini, il mangiallenatori buono.

L’idea che avevamo di Maurizio Zamparini, che è scomparso lo scorso primo di febbraio, nasceva da una lunga osservazione negli anni di Presidenza al Venezia. Un vulcano geniale che mangiava allenatori a colazione (in tutto ne ha cambiati più di 60) e che confezionò il primo capolavoro portando una squadra che languiva in Serie C fino all’approdo nella massima serie.

Ricordo l’ingaggio dall’Inter di Alvaro Recoba che incendiò la laguna e permise al club di conservare la categoria dopo una rimonta giudicata impossibile. Era considerato un santo.

I concetti che ci ispirò nella sua prima esperienza calcistica, di dirigente con i fiocchi, furono confermati dalla seconda impresa, ben più ardua perché compiuta nel profondo sud, a Palermo, in una piazza che non assaggiava la serie A da ben 31 anni.

Il solito Zamparini; scommessa fatta, scommessa vinta e la Sicilia che piazza nel salotto buono del calcio il suo capoluogo di provincia, grazie all’uomo del profondo nord: Toni, Amauri, Miccoli e Barzagli, potrebbero bastare ma possiamo continuare con Sirigu, Cavani, Pastore, Dybala e tanti altri come Belotti, Grosso, Vasquez, Ilicic sono stati scovati e fatti crescere, quasi confezionati per traguardi inimmaginabili.

Gli amici siciliani si sono stropicciati gli occhi in più di un’occasione grazie al giocattolo costruito dal “friulan” e all’amore “impossibile” nato tra lui e i palermitani; anche le storie meravigliose però si possono incrinare, anzi possono finire.

L’ideale sarebbe farle finire bene ma solo chi non opera non sbaglia e qualche errore grosso lo ha commesso pure lui, l’imprenditore di Bagnaria Arsa, che un poco per il calcio che cambia (quasi sempre in peggio), un poco perché l’energia che ci rende liberi e forti non è inesauribile ha perso di vista l’aspetto tecnico della squadra, impantanandosi nelle beghe amministrative di una crisi nel settore che ha presentato un conto salatissimo alla salute delle casse del Palermo.

Il fallimento del 12 luglio 2019 è una pugnalata quasi attesa per le ultime peripezie del club e fornisce la spugna che cancella di colpo, quello che di buono aveva fatto il presidente in quei 5 anni di serie A.

Diceva un saggio che “la gratitudine è di per se stessa il paradiso”: ci viene subito da pensare alla curva dei tifosi del Venezia che all’inizio del match contro il Napoli, quando è iniziato il minuto di silenzio per il vecchio patron, hanno girato le spalle alla sua commemorazione confermandoci ancora una volta che in paradiso ci vanno pochissimi eletti. Riposi in pace Presidente.

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