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E chello ca se vere song Kvara e Osimhen

Io nun capisco e vote che succede …. E chello ca se vede nun se crede nun se crede!“ E’ l’incipit di Tammurriata Nera famosa canzone scritta da E. A. Mario ed E. Nicolardi, ripresa dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare alla fine degli anni ’90 e tornata quest’anno prepotentemente alla ribalta per merito del Napoli.

Eh sì perché gli avversari che affrontano il Napoli, il dubbio se sia effettivamente vero ciò che vedono sul campo se lo pongono, e la cosa sconveniente, per loro ovviamente, è che la risposta è sì, chello ca se vede è overo!!

Sperticarsi per trovare aggettivi o metafore che qualifichino i numeri fin’ora realizzati dal Napoli ed il suo gioco convincente e vincente, è divenuta una tendenza modaiola alla quale non si vuole cedere.:

Cos’altro si può aggiungere a quanto sin qui detto e si continua a dire dopo ogni partita? Il calcio, o meglio “o pallone” come essenzialmente viene chiamato a Napoli per epurarlo forse dalle strutture burocratiche che lo governano, è uno sport di squadra, ma se in squadra hai quei due lì, è assai meglio e fa tutta la differenza che c’è!! Osi e Kvara, Kvara e Osi, ancora loro, sempre loro ma non solo loro.

Nello scorso turno di campionato contro il Toro, l’hanno ripetuto ancora, gol, assist, giocate, senza vergogna, impenitenti e controfobici, sempre al confine tra il rispetto e l’oltraggio.

Se fossero dei fuorilegge avrebbero l’aggravante della recidiva plurima, in realtà sono due fenomeni che non si sa se definire paranormali o “par normal” (nel senso che normali lo sembrano), dissimulando il facile gioco suggerito dal vernacolare “slang”.

Schuurs tra i difensori più strutturati fisicamente e promettenti del ns campionato, di ben 6 cm più alto, nell’occasione dei 2 goal è stato sovrastato da Osi. Viene da chiedersi se sia solo una questione di abilità, di potenza, di elevazione, di allenamento.

Personalmente non credo, penso che il sollevamento di Osi vada oltre il gesto tecnico. Pazziando ancora con la lingua dialettale nostra, Osi per noi tifosi è “Un tram che si chiama desiderio” (come l’omonimo film del ’51 con Marlon Brando) e guarda caso l’ascensore, che come Osi si eleva da fermo senza rincorsa, in vernacolo si chiama “o tram a muro”. Il suo stacco è qualcosa di non previsto dalla teoria fisica classica, è un modo di raffigurare l’aspirazione, di cui non fa mistero, di voler raggiungere traguardi sempre più alti.

I morsi alle caviglie inferti da Gravillon nei primi minuti della partita col Torino, non hanno intimorito Kvara che ha impanicato gli avversari con i dribbling e le sterzate a cui ci ha abituato ed i colpi di tacco entrati di diritto nel suo già ricco repertorio.

Crossare dentro l’area di rigore dopo un dribbling per vedere, se poi è così difficile far gol: “capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni”, così avrebbe sintetizzato il mitico duo Mogol – Battisti.

Anche per Kvara sorge la domanda se i dribbling, le giocate siano solo il frutto di un gesto tecnico allenato spasmodicamente. Piace immaginare che non sia così, che quei dribbling esprimano un modo per saltare gli ostacoli e schivare le insidie.

La Georgia da cui Kvara proviene è Terra di confine, oggetto di aspre dispute e dolorose diatribe interne (che ancora provocano qualche eco), è uno Stato indipendente da appena un trentennio; dribblare in campo l’avversario per non patirne l’ingerenza evoca in chi scrive (non so perché, confesso che non so dare una spiegazione razionale, che forse non esiste), il modo più consono a Kvara di schivare il nemico per non subirne l’oppressione.

Il guizzo di Kvara ed il balzo di Osi hanno dei tratti comuni che travalicano la tecnica, il gesto in sé: esprimono ad opinione di chi scrive, la realizzazione di un “centro di gravità permanente”, di uno stato intermedio di coscienza svincolato dagli automatismi e dalle emozioni, in cui l’elevazione, il dribbling sono in perfetta armonia con le idee di chi li esegue, non in balia di quelle degli altri (gli avversari in questo caso); manifestano, prendendo a prestito il titolo di un famoso romanzo di Kundera, quella leggerezza dell’essere talmente lieve, impalpabile da risultare insostenibile per gli altri contendenti.

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