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Strade vicinali ad uso pubblico: proprietà, destinazione, manutenzione

Che cosa sono le strade vicinali?

La natura delle cd. strade vicinali, ancora oggi alquanto difficile da spiegare, è stata inquadrata dalla giurisprudenza di legittimità e di merito nonché dalla giurisprudenza amministrativa, spesso impegnate in casistiche disparate non sempre riconducibili ad una categoria unitaria.

Secondo il Codice della strada, le strade sono classificate in base alle loro caratteristiche costruttive secondo l’elencazione contenuta nell’art. 2, comma 2.

In base a quanto riportato al comma 6 del citato articolo, le strade extraurbane si distinguono in statati, regionali, provinciali, comunali: alle strade comunali sono assimilate le strade vicinali (art. 2, comma 6).

Il successivo articolo 3, comma 1, n. 52, definisce come segue la strada vicinale (o poderale o di bonifica): “strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico”.

E qui si complicano un po’ le cose.

Si distingue solitamente tra strada vicinale privata e strada vicinale pubblica o meglio soggetta ad uso pubblico.

La strada vicinale privata (cd. via agraria o poderale) è normalmente costituita mediante conferimento di porzioni di terra ad opera di proprietari latistanti per consentire agli stessi l’attraversamento con i mezzi o gli animali.

La via agraria, cioè la strada privata che i proprietari dei fondi latistanti aprono e mantengono per transitarvi secondo le esigenze della coltivazione, viene formata mediante conferimento di suolo (cd. “collatio agrorum privatorum”) o di altro apporto dei vari proprietari, in modo da fondare una comunione (“communio incidens”), per la quale il godimento della strada non è “iure servitutis” ma “iure proprietatis” e, pur avendo di regola, fondi fronteggianti, può essere utilizzata, in relazione alla necessità del tracciato, da più fondi in consecuzione, fermo restando il principio che essa possa servire a tutti i proprietari dei fondi in tutte le direzioni, onde ciascuno ne abbia per tutta la sua lunghezza la proprietà “pro indiviso”Tribunale Chieti, 15/10/2009, n. 748.

Ma non è su queste che vogliamo soffermarci.

Le strade vicinali pubbliche (o, come detto, ad uso pubblico) sono invece strade private sottoposte ad una servitù di uso pubblico.

Esse si costituiscono solitamente per effetto di una comunione realizzata tra proprietari latistanti, su terreni confinanti con la strada e dalla stessa attraversati su cui insiste un diritto di servitù di passaggio a favore di una collettività, della cui gestione è in buona parte investito l’ente comunale.

In effetti, la strada vicinale pubblica è una strada privata soggetta a pubblico passaggio: privato è il sedime, privati sono gli accessori e le pertinenze mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di passaggio ex art. 825 cc.

Si può quindi dire che vi è da distinguere la proprietà, pubblica o privata, della strada, dall’uso pubblico o privato della stessa.

Strade vicinali pubbliche

Volendo osservare più da vicino le strade vicinali pubbliche, la prima domanda che sorge è la seguente: come si fa ad accertare la natura o meno di strada vicinale?

La regola da cui partire è contenuta nell’ art. 22 co. 1 L. n. 2248/1865 all. F, secondo cui

“Il suolo delle strade nazionali è proprietà dello Stato; quello delle strade provinciali appartiene alle province, ed è proprietà dei comuni il suolo delle strade comunali”.

Ciò vuol dire che una strada che insiste sul suolo comunale è considerata di proprietà del Comune, salvo prova contraria.

Quindi, la presenza di un titolo idoneo che attesti la proprietà in capo ad un soggetto privato potrà costituire elemento dirimente ai fini della titolarità.

Chiarito ciò, laddove il Comune vorrà dimostrare che su una strada di indubbia titolarità privata gravi una servitù di uso pubblico, ne dovrà dare prova, ossia dovrà provare che su di essa si è costituito un uso pubblico.

Quando ricorre l’esistenza di una servitù di uso pubblico?

Secondo la giurisprudenza costante, per potersi affermare l’esistenza di una servitù pubblica su una strada privata, e quindi conferire alla strada la natura di strada vicinale, occorre che si verifichino tre condizioni:

  1. che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Consiglio di Stato, sez. V, 14 febbraio 2012 n. 728; 15 maggio 2012 n. 2760; 5 dicembre 2012 n. 6242). In particolare, è necessario che l’ente pubblico vanti un diritto reale di transito (art 825 cc) a carattere generalizzato, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione e ricostruzione della strada;

  2. che il bene sia concretamente idoneo a soddisfare esigenze di carattere generale, quale il collegamento con la strada pubblica non diversamente raggiungibile;
  • che vi sia un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico. Quest’ultimo può essere costituito da: a) un atto pubblico o privato (ad esempio una convenzione tra il privato e l’ente, un testamento, un provvedimento amministrativo), b) l’usucapione ventennale; c) l’immemorabile, ossia l’uso della strada da parte della collettività da tempo immemorabile; d) la dicatio ad patriam.

(Sulla ricorrenza dei tre requisiti si vedano inoltre: T.A.R. Napoli, III, 16 ottobre 2017, n. 4824; T.A.R. Lecce, 5 gennaio 2015, n. 5)

“La dicatio ad patriam  è ravvisabile ogni qualvolta il comportamento del proprietario, pur se non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, ponga volontariamente, con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività “uti cives” – “e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato” (Consiglio di Stato, V, 14 febbraio 2012, n. 728) – “indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto” (in termini, Cassazione Civile, II, 13 febbraio 2006, n. 3075) – Consiglio di Stato sez. V, 8.01.2021 n.  311.

In sintesi, secondo la giurisprudenza, affinché un’area privata possa dirsi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessario che il bene sia soggetto ad un uso da parte di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico generale interesse.

Viceversa, non vi è uso pubblico qualora il passaggio sia esercitato da coloro che abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad una privata utilizzazione (Cass. Civ., II, 23 maggio 1995, n. 5637) o ancora quando la strada sia destinata al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cons. di Stato, Sez., V, 14 febbraio 2012, n. 728).

Insomma, affinchè si possa dire che la strada sia soggetta ad uso pubblico è necessario che essa soddisfi un interesse generale.

Sarà ovviamente onere dell’ente dare prova dell’esistenza di tutti i predetti elementi laddove voglia contestare la destinazione pubblica del bene privato.

Riportiamo di seguito, a titolo esemplificativo, una chiara sintesi dei principi innanzi esposti, nella massima di un’altra importante pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 2531 del 29 maggio 2017:

«Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1515), ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato “iure servitutis pubblicae” da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile. L’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione “iuris tantum”, superabile con la prova contraria, che escluda l’esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività.

Resta fermo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. Unite, 7 novembre 1994, n. 9206) secondo cui “l’iscrizione di una strada nell’elenco formato dalla P.A. delle vie gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva, ma è dichiarativa della pretesa della P.A. La stessa iscrizione pone in essere una mera presunzione “iuris tantum” di uso pubblico, superabile con la prova dell’inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività.”.

L’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può derivare, oltre che dalla volontà del proprietario e dal mutamento della situazione dei luoghi, con conseguente inserimento della stessa nella rete viaria cittadina, anche da un immemorabile uso pubblico, inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica, di esercitare il diritto di uso della strada»

Manutenzione della strada soggetta ad uso pubblico

Infine uno sguardo all’aspetto manutentivo del tratto di strada privato soggetto ad uso pubblico.

Chiarita la questione della proprietà del tratto di strada e accertata inequivocabilmente l’esistenza di un uso pubblico in favore del Comune, resta da chiedersi a chi spettino la cura e la manutenzione della strada vicinale siffatta.

L’art. 14 L. 12 febbraio 1958, n.° 126 prevede l’obbligo di costituzione di un apposito Consorzio tra gli utenti della strada e il Comune.

Riportiamo il testo del citato articolo per maggiore chiarezza:

Art. 14. Consorzi per le strade vicinali di uso pubblico

     La costituzione dei consorzi previsti dal decreto legislativo luogotenenziale 1° settembre 1918, n. 1446, per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico, anche se rientranti nei comprensori di bonifica, è obbligatoria.

     In assenza di iniziativa da parte degli utenti o del Comune, alla costituzione del consorzio provvede di ufficio il prefetto.

La norma parla di utenti non di proprietari. Motivo per il quale, si ritiene comunemente che l’obbligo di manutenzione gravi non solo su Comune e proprietari della strada vicinale bensì anche su tutti gli utenti della stessa  (art. 51 della L. n. 2248/1865), anche non proprietari.

Senza voler qui dilungarci oltre, è importante sottolineare che il Comune è obbligato a concorrere ai predetti oneri, non potendo limitarsi ad un generico controllo o interventi sporadici. La ripartizione delle spese tra i consorziati avviene in base a criteri prestabiliti, in parte indicati dalla legge.

Ripetutamente la giurisprudenza ha ribadito il diretto coinvolgimento del Comune dell’adempimento dell’obbligo manutentivo, soprattutto in relazione ai profili risarcitori derivanti da danni occorsi a utenti della strada.

 “In tema di responsabilità da negligente manutenzione delle strade, è in colpa la Pubblica Amministrazione che non provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le pubbliche vie, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti delle strade, né ad inibirne l’uso generalizzato; ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione d’una strada, la natura privata di questa non è, di per sé, sufficiente ad escludere la responsabilità dell’amministrazione comunale ove, per la destinazione dell’area e per le sue condizioni oggettive, la stessa era tenuta alla sua manutenzione”. Cass. ordinanza n. 8879 del 29 marzo 2023.

Sul punto si rinvia al nostro approfondimento al link https://avvocatofusco.com/diritto-assicurativo-responsabilita-civile/responsabilita-da-cosa-in-custodia-la-strada-vicinale-obbliga-anche-il-comune-alla-manutenzione/

© Annunziata Candida Fusco

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