L’arrivo del nuovo CT è un segnale, non ancora una svolta
Gennaro Gattuso è ufficialmente il nuovo commissario tecnico della Nazionale italiana. Una scelta che punta su carisma, disciplina e passione, tutte qualità che l’ex centrocampista ha sempre incarnato. Ma sarebbe ingenuo pensare che il suo arrivo da solo possa risolvere i problemi strutturali del calcio italiano. Perché il male che affligge la nostra Nazionale ha radici ben più profonde, che vanno oltre la figura del CT: riguarda un sistema calcistico da tempo in difficoltà, privo di visione e incapace di rinnovarsi davvero.
Gattuso porterà certamente energia, rigore e spirito di sacrificio. Tuttavia, l’Italia del pallone ha bisogno di molto più di una scossa emotiva: serve una rifondazione seria, culturale prima ancora che tecnica. Da anni si denunciano i limiti del nostro settore giovanile: troppa tattica, poca tecnica, poca fiducia nel talento. Mentre le grandi nazionali europee – Spagna, Inghilterra, Francia – lanciano titolari appena maggiorenni, il nostro campionato continua a soffocare i giovani più promettenti, ostaggio di un sistema che spesso preferisce investire su stranieri pronti all’uso anziché formare le nuove leve italiane.
Lo stesso Gattuso ha messo il dito nella piaga: “In Serie A hanno giocato il 68% di stranieri e solo il 32% di italiani. Nonostante l’ottimo lavoro nei settori giovanili, dopo l’Under 19 i nostri ragazzi si perdono per strada”. Parole che meritano attenzione, perché pronunciate da chi ora avrà la responsabilità di guidare il movimento azzurro.
Ma il problema più profondo si annida ai vertici. La gestione federale degli ultimi anni, con Gabriele Gravina riconfermato alla guida della FIGC nonostante due mancate qualificazioni consecutive ai Mondiali, solleva più di un interrogativo. Se l’Italia dovesse riuscire ad accedere a USA 2026, sarà anche per il nuovo formato a 48 squadre – non certo per meriti consolidati sul campo o frutti di una pianificazione lungimirante. E ciò, per una Nazionale con la nostra storia, non può essere considerato sufficiente.
C’è infine la questione dell’attaccamento alla maglia. Troppe assenze poco trasparenti, troppi forfait accompagnati da prestazioni brillanti nei club pochi giorni dopo. Anche su questo Gattuso ha voluto tracciare una linea netta: “Chi ha un dolorino resta a Coverciano. Non si possono creare precedenti. Dobbiamo essere credibili”. È una presa di posizione importante, ma dovrà essere seguita da coerenza e fermezza, per non restare lettera morta.
Il calcio italiano è in crisi d’identità, e non basta più mascherarlo con dichiarazioni d’intenti o cambi di facciata. I grandi club arrancano in Europa, e il sistema nel suo complesso sembra rassegnato a un ruolo marginale. Le realtà più virtuose, come Atalanta, Napoli o Fiorentina, faticano a emergere a causa di ostacoli sistemici più che sportivi. E intanto, il rispetto che l’Italia aveva conquistato nel mondo va progressivamente sfumando.
Per tornare ad essere competitivi e rispettati, bisogna prima avere il coraggio di rispettare se stessi. L’arrivo di Gattuso rappresenta una nuova pagina, ma il libro del calcio italiano va riscritto con idee, riforme e visione. Il tempo delle scorciatoie è finito.