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Rca e convivenza di fatto: la compagna della vittima ha diritto al risarcimento.

La pronuncia che qui si commenta brevemente ha il pregio di affrontare il delicato tema dei diritti dei componenti di una famiglia di fatto in occasione di un sinistro stradale in cui il danneggiato perde la vita.

La Cassazione riconosce dignità al convivente more uxorio, dando il giusto rilievo alla stabilità del legame e all’apporto materiale e affettivo reciprocamente prestati da vittima del sinistro e convivente, riconfermando così un orientamento forse ancora difficile da accettare.

Il caso

Il fatto si svolge a Torino: in un sinistro stradale decedeva Tizio lasciando la sua compagna e i figli di lei, tutti con lui conviventi al momento del fatto. I superstiti avevano ottenuto un risarcimento in via stragiudiziale dalla compagnia assicurativa del responsabile civile pari ad euro 150.000,00 sia per danno patrimoniale che per danno non patrimoniale, ma, reputandolo non congruo, agivano in giudizio (con atto di citazione datato 26.04.2010) innanzi al tribunale di Torino il quale, però, rigettava la domanda attorea, ritenendo satisfattivo il risarcimento già erogato.

I soccombenti proponevano appello innanzi alla Corte d’appello di Torino, la quale lo respingeva con sentenza del 30.03.2015. Si proponeva ricorso in Cassazione. La Corte riteneva fondato il motivo del ricorso,  per cui cassava la sentenza e rinvia alla Corte d’appello torinese in altra composizione, motivando che non era stato tenuto in debito conto la circostanza della “reciproca assistenza economica” in relazione alla quale erano stati forniti prove e indizi, ai quali il giudice d’appello non aveva dato il giusto rilievo.

Tizia, la convivente superstite, ripresentava la sua domanda di risarcimento danni di natura patrimoniale subiti in conseguenza della perdita del suo compagno deceduto nel sinistro stradale, indicando quali voci di danno in particolare la perdita delle sovvenzioni economiche che il deceduto Y, quale convivente more uxorio, le avrebbe concesso dalla data del sinistro stradale fino al venir meno con la morte naturale della capacità di guadagno e di percepimento della pensione. La Corte d’appello di Torino, quale giudice del rinvio, rigettava di nuovo la domanda. Di nuovo la donna proponeva ricorso in Cassazione.

Motivazione e conclusioni

La Cassazione accoglie i motivi della ricorrente e spiega come segue.

Risulta provata la convivenza more uxorio con una continuità di almeno cinque anni. Il punto controverso era la reciproca assistenza economica, che aveva indotto di nuovo la Corte d’Appello ad escluderne l’esistenza dei presupposti. Infatti, la stessa ritiene che tutte le circostanze addotte non erano univocamente in grado di dimostrare l’esistenza di una comunanza di vita tra il defunto e l’istante così forte e stabilizzata da giustificare “il prevedibile apporto stabile economico del primo a vantaggio della seconda, non solo per la stretta durata della convivenza ma per tutta la durata della vita”

Non così la pensa la Cassazione che definitivamente motiva diversamente.

«Sulla configurabilità di una relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale tra il convivente deceduto e la superstite, il giudice di appello non ha tenuto nel debito conto, nella fattispecie in esame, quanto da questa Corte già affermato con riferimento al diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale, che va riconosciuto – con riguardo si al danno morale sia a quello patrimoniale allorquando emerga la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato – anche al convivente more uxorio del defunto (Cass. Sez. 3 n. 23725 del 2008, Cass. Sez. 3 n. 12278 del 2011)».

«“L’intenzione di mettere in comune le risorse economiche nel contesto della costituzione sostanziale di un nuovo nucleo familiare”, appare intrinsecamente illogica e del tutto inconciliabile con la rilevanza probatoria del fatto storico, emerso pacificamente e rimarcato dalla stessa Corte d’appello, di una contribuzione caratterizzata dalla diuturnitas per tutto il corso della convivenza more uxorio, durata circa un lustro e interrotta dal sinistro de quo, laddove la Corte di merito l’ha ritenuta però significativa solo ai fini della sussistenza di una mera “comunione affettiva” tra il deceduto e la sua convivente”».

Tale argomentazione, spiega la Corte, si pone invero in aperto contrasto con la nozione di convivenza di fatto prevista dalla legge Cirinnà (l. 76/2016), che definisce i conviventi di fatto come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Situazione che presuppone l’esistenza di un legame spirituale, di un legame affettivo e materiale, una stabilità una reciproca assistenza materiale e morale, fondata non sul vincolo coniugale ma “sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco”.

La Cassazione non può che accogliere il ricorso e rinviare per la seconda volta alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione per l’adeguamento della sua motivazione.

Sperando che la Corte torinese se ne faccia finalmente una ragione.

© Annunziata Candida Fusco

www.avvocatofusco.com

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