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A “fatica” al tempo dell’AI

Nella lingua vernacolare nostra il lavoro tradotto diventa ‘a fatica!

Il termine dialettale lascia trapelare il senso, la sfumatura, il carico, che il lavoro (quando c’è!) assume per noi napoletani. Indipendentemente da quale possa essere, fisico o di testa (intellettuale se preferite), creativo, routinario, scomodo, improvvisato, a prescindere dalle scoperte tecnologiche che nel tempo si sono avvicendate e che lo hanno reso nel complesso meno gravoso, dalla meccanica alla digitalizzazione più spinta, passando per l’elettronica e la primordiale computerizzazione, il lavoro resta sempre ‘a fatica, ossia un’attività che incide in maniera coinvolgente sul corpo, sulla mente e sullo spirito e che non ammette distrazioni (insomma, se dovessi riscontarlo anche in base alla mia esperienza da “emigrato”, il lavoro è un dovere non uno status, credo sia anche per questo che la “nostra” manodopera e i “nostri” cervelli hanno così tanto influito nello sviluppo delle imprese sia oltre confine che italiane, contribuendo alla crescita economica del Paese).

Al World Economic Forum di Davos, cittadina svizzera nella quale ogni anno si danno appuntamento personalità influenti provenienti dal mondo degli affari, da governi vari, dalla politica, dalla società civile, dai media, dalla cultura e dall’ambito accademico per discutere delle questioni globali più urgenti, il Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI) Kristalina Georgieva, ha definito “impressionanti” i risultati dello studio che esamina il potenziale impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro globale, sia per quel che concerne la possibile sostituzione di posti di lavoro da parte dell’AI, che per quanto riguarda la sua integrazione con il lavoro umano.

”Siamo sull’orlo di una rivoluzione tecnologica che potrebbe far ripartire la produttività, stimolare la crescita globale e aumentare i redditi in tutto il mondo ma potrebbe anche sostituire i posti di lavoro e aggravare le disuguaglianze. Il rapido progresso dell’intelligenza artificiale ha affascinato il mondo, suscitando sia eccitazione che allarme, e sollevando importanti domande sul suo potenziale impatto sull’economia globale. L’effetto netto è difficile da prevedere, poiché l’AI si diffonderà attraverso le economie in modi complessi. Quello che possiamo dire con una certa sicurezza è che avremo bisogno di elaborare una serie di politiche per sfruttare in modo sicuro il vasto potenziale dell’AI a vantaggio dell’umanità” ha dichiarato Georgieva.

Secondo l’FMI, circa il 60% dei posti di lavoro nelle economie avanzate potrebbe subire l’impatto dell’ascesa dell’AI. Circa la metà dei posti di lavoro interessati, potrebbe trarre vantaggio dall’integrazione con questa tecnologia in termini di produttività. Per l’altra metà, le applicazioni di intelligenza artificiale possono eseguire attività chiave attualmente svolte dall’uomo, il che potrebbe ridurre la domanda di lavoro, indurre a salari più bassi e assunzioni ridotte; nei casi più estremi alcuni posti di lavoro potrebbero scomparire. Sempre secondo l’FMI nei mercati emergenti (ad es. Cina, Brasile e India) e nei paesi a basso reddito, l’esposizione all’AI dovrebbe essere rispettivamente del 40% e del 26%. Molti di questi paesi non disporrebbero di infrastruttura o forza lavoro qualificata per sfruttarne i vantaggi aumentando nel tempo il rischio che l’AI possa peggiorare le disuguaglianze tra le nazioni. I lavoratori in grado di accedere ai benefici dell’AI potrebbero aumentare la loro produttività e il loro stipendio, mentre quelli che non possono farlo rischiano di rimanere indietro. Secondo lo studio «Global Workforce of the Future» realizzato da The Adecco Group, basato su un campione di quasi 2mila soggetti distribuiti in tutte le regioni italiane, l’8% dei nostri connazionali che svolgono lavori impiegatizi temono di perdere il lavoro a causa dell’AI, il 19% ipotizza che saranno necessari percorsi di upskilling per rimanere nel mercato del lavoro, il 53% invece chiede a gran voce ai datori di lavoro di seguire corsi di formazione e percorsi dedicati sull’utilizzo dell’AI. Al World Economic Forum di Davos era presente anche Sam Altman CEO di OpenAI e “padre” di ChatGPT (per chi volesse approfondire https://www.passnews.it/2023/11/21/questione-di-feeling/ e https://www.passnews.it/2023/11/25/altman-il-ritorno-o-la-vendetta/).

In quella sede Altaman ha riferito che “l’AI è una tecnologia molto potente ma non sappiamo bene cosa possa succedere. Questo è vero per ogni rivoluzione tecnologica. È facile immaginare che abbia un impatto massiccio sul mondo, che potenzialmente può andare molto male. L’idea è di immettere questa tecnologia nel mondo e vedere come va, dare il tempo di sviluppare regole, adattarsi, capirne i rischi”. Sempre al Forum di Davos, Altman ha spiegato di comprendere bene “il nervosismo che c’è verso di noi, ci dicono che il futuro è nelle nostre mani, ma credo che il mondo sappia che i benefici possono essere talmente grandi che vale la pena andare avanti.” Ha poi aggiunto “è bene che le persone abbiano paura, possiamo imparare dalle lezioni del passato come la tecnologia può essere governata, si possono fissare soglie di sicurezza”, concludendo che sarebbe sbagliato “non avere coscienza dell’importanza di quanto c’è in ballo, siamo nervosi ma crediamo che possiamo farcela. Il metodo è mettere la tecnologia nelle mani delle persone e vedere come convivono, come evolve”.

Appare oramai evidente a tutti il mutamento epocale che questo tempo sta segnando o forse ha già definitivamente segnato. Il celebre principio Cartesiano “Cogito ergo sum”, che è alla base del pensiero moderno, si accinge a passare il testimone all’attuale “digito ergo sum”. E’ un cambiamento che, come tutti i grandi mutamenti, insinua timore ed esitazione.

Non sappiamo cos’è che si siano detti al riguardo la Premier Meloni e Bill Gates nell’incontro avvenuto pochissimi giorni or sono, sappiamo però che l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida i cui effetti vanno esaminati e ponderati innanzitutto con quelli che ne sanno e ne capiscono di più, e Bill Gates è sicuramente uno degli esponenti più informati ed influenti in merito. L’Italia e il Sud in particolare hanno assolutamente necessità di recuperare sconfinate praterie di svantaggio in campo tecnologico e sarebbe un errore affrontare questa rivoluzione solo frenati dal timore senza guardare con fiducia alle opportunità, nell’ ingannevole convinzione che il passato sia più rassicurante del futuro.

Sarebbe anche un errore se non fosse l’essere umano a stabilire il territorio, la destinazione dove l’AI lo condurrà, abdicando in favore di quest’ultima l’indicazione della rotta, la percorrenza e la scelta della meta. Importante sarà anche definire dove e nelle mani di chi sarà accentrata e quali saranno i modelli di business che ne permetteranno lo sfruttamento economico e i relativi introiti. Sarà fondamentale, indispensabile saper coniugare insieme tecnica ed umanesimo, tecnologia ed umanità,
e considerare anche politiche di welfare agganciate all’impatto sul lavoro, che a Napoli è e resterà ‘a fatica.

Pensavo ai versi di “Non ho che te” brano del Liga del 2015 che parla di una persona che viene licenziata e della crisi non solo economica che lo coinvolge: “L’inferno è solamente una questione temporale A un certo punto arriva, punto e basta. A un certo punto han chiuso l’ingresso principale e hanno detto avete perso il posto. È vero il mio lavoro è sempre stato infame ma l’ho chiamato sempre il mio lavoro. E ci han spostato sempre un po’ più avanti la pensione ma quello adesso è l’ultimo pensiero …. L’inferno è solamente una questione di calore com’è che sento il gelo nelle ossa. Che cosa te ne fai di un uomo che non ha un lavoro ….”. Già, che cosa me ne faccio dell’AI se mi fa perdere il lavoro?

Sono fiducioso, e per dirla come Marco Mengoni “credo negli esseri umani che hanno il coraggio di essere umani”.

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