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La tenzone politica recente è stata animata da alcuni fatti che, se intersecati con il maggiore evento mediatico del momento, un ibrido tra cronaca e costume i cui strascichi tengono tutt’ora botta, sembrano essere casualmente collegati tra loro da un filo comune foriero di taluni pensieri.

Alcuni giorni or sono, la Commissione Giustizia del Senato, ha concluso l’esame di alcuni articoli del cosiddetto “ddl Nordio”, ossia il disegno di legge n° S. 808, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”.

Il voto manifestato dalla Commissione Giustizia sugli articoli esaminati, è un primo e significativo indizio, certo non ancora definitivo ma sicuramente indicativo, di quel che potrà essere l’esito finale; per la parola fine infatti occorrerà attendere il voto parlamentare che interverrà dopo che la Commissione avrà esaurito l’esame del ddl nella sua interezza.

Considerata la solida maggioranza di cui dispone l’attuale Governo, il risultato del voto che ora diremo, pronunciato dalla Commissione, sembra essere prodromico a quello definitivo che sarà poi espresso dal Parlamento. Molto clamore ha suscitato l’abrogazione in Commissione (quindi, ribadiamo per quanto indicativa, non ancora definitiva), del reato di abuso di ufficio. Previsto, per chi volesse approfondire, dall’art. 323 del codice penale, l’illecito riguarda chi, nell’esercizio delle proprie funzioni di pubblico ufficiale (in modo particolare sindaci ed amministratori locali, ai quali la fattispecie è particolarmente indigesta, indipendentemente dallo schieramento politico di appartenenza), approfitta del proprio incarico pubblico per procurare intenzionalmente un vantaggio ingiusto a se stessi o a qualcun altro, o ancora per procurare ad altri un danno ingiusto.

La pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni. Sindaci e amministratori in primis (più o meno bipartisan) ritengono che la preoccupazione di imbattersi in un procedimento penale per tale reato, li porti sovente ad evitare di prendere decisioni su provvedimenti anche ordinari, che hanno carattere discrezionale. Questo secondo loro alimenterebbe i già pesanti iter burocratici e rallenterebbe sensibilmente l’operato della Pubblica Amministrazione.

Vi è che ritiene che il reato vada riformato o eliminato, e chi invece pensa che vada bene com’è e che sia invece un errore abolirlo. Al netto di ciò che può essere l’idea che ciascuno può trarne, senza propendere affatto per alcuna tesi, mi limito a discernere se la cancellazione del reato di abuso di ufficio sia di per sé sufficiente, necessaria o opportuna per dare impulso alla buona amministrazione. In pratica, discorrendo per paradossi, è come se si dicesse “siccome tu amministratore non riesci a percorrere il sentiero, che magari sarà pure male sterrato, cancelliamo il percorso”. Mi chiedo: non converrebbe provare a cambiare le scarpe, indossando magari quelle da trekking, o a lastricare meglio il tragitto prima di eliminare il percorso? Tradotto: ha senso o è sufficiente abolire il reato di abuso di ufficio senza sfoltire l’impianto burocratico che ruota intorno alle Pubbliche Amministrazioni, lasciandolo così com’è?

Oltre alla (provvisoria) abrogazione dell’abuso di potere, in Commissione Giustizia del Senato è passato anche un taglio alla pubblicazione delle intercettazioni. Nel merito allo stato attuale, (cercherò di essere il più sintetico possibile per non appesantire con tecnicismi esasperati di non immediata compressione, una storia già ammorbante, più per addetti ai lavori forse), funziona che dopo l’udienza preliminare, è consentito diffondere all’opinione pubblica tutti gli atti non coperti da segreto e le intercettazioni acquisite regolarmente.

Col voto espresso in Commissione, se passasse pure in Parlamento, ciò non sarebbe più possibile nel senso che sarà vietato pubblicare intercettazioni che non siano state già riprodotte nelle motivazioni di un atto del giudice o utilizzate nel corso del dibattimento. Perciò se il giudice non le ha precedentemente riportate in un atto, intervenuto dopo l’udienza preliminare o non sono state utilizzate in altro modo nel processo, quelle intercettazioni diventano segrete.

Anche su questo tema, aspro è lo scontro tra fazioni, per il Ministro Nordio si tratterebbe di una forma di tutela in più, a garanzia degli imputati e di terze persone, per i suoi oppositori invece non dovrebbero esserci margini di segretezza perché il processo è pubblico e perciò l’opinione pubblica sarebbe tenuta a sapere come viene utilizzata la potestà punitiva dello Stato. Ora a me sembra, sempre arguendo per paradosso, che il punto essenziale sia il seguente: “si abbassa il volume delle casse ma la musica la si continua ad ascoltare in cuffia, o si spegne proprio lo stereo?” Per dirla semplice, la norma passata in Commissione, mira a nascondere terze parti per “coprirle” dall’assoggettamento ad indagini nei loro confronti o tende semplicemente a proteggerne la privacy, specie se non interessate o solo marginalmente coinvolte in un’indagine giudiziaria? “La legge è uguale per tutti” si legge nelle aule dei Tribunali, ma se siamo tutti uguali davanti alla legge (cosa peraltro tecnicamente impropria ma ci dilungheremmo oltre modo, per cui lasciamo stare), lo siamo anche davanti a coloro che hanno l’incarico la legge di applicarla, “raccontarla” e farla osservare? Non mi è parso (ma forse sono solo sbadato e distratto), che nelle opinioni espresse dalle varie parti coinvolte, questi interrogativi abbiano trovato spazio o siano stati sciolti.

Continuano a tenere banco e a fare scalpore gli strascichi di una pratica commerciale scorretta (per chi volesse sapere cos’è https://www.agcm.it/competenze/tutela-del-consumatore/pratiche-commerciali-scorrette/), legata ad una beneficienza sospetta, che ha coinvolto un’arci nota influencer ed una famosa azienda dolciaria (ma che si sta allargando anche ad altre aziende con ripercussioni di natura penale). Il caso ha accentrato su di sé una smisurata attenzione da parte dei media. Giorni fa l’AgCom (l’Autorità Garante per le Comunicazioni) in concomitanza con, ma a quanto pare non in conseguenza dell’avvenimento citato, ha approvato nuove linee guida che definiscono un insieme di norme rivolte agli influencer operanti in Italia con almeno un milione di follower sulle varie piattaforme o social media su cui operano e hanno superato, su almeno una di essa, un valore di engagement rate medio (ossia reazioni da parte degli utenti come commenti o like) pari o superiore al 2% dei contenuti pubblicati. L’obiettivo dell’AgCom è quello di equiparare gli influencer più grossi ai media tradizionali, facendo rispettare loro il Testo unico sui servizi di media audiovisivi, cioè l’insieme di leggi italiane che regolano l’attività di radio e televisione.

Le nuove linee guida prevedono in particolare misure in materia di comunicazioni commerciali e di tutela dei diritti fondamentali della persona e dei minori, prevedendo un meccanismo di richiami e ordini volti alla rimozione o adeguamento dei contenuti (pena sanzioni che vanno da 30mila a 600mila euro). In caso di contenuti con inserimento di prodotti commerciali, gli influencer sono obbligati a riportare una scritta che evidenzi la natura pubblicitaria del contenuto immediatamente riconoscibile (pena una sanzione che va da 10mila a 250mila euro).

Mi sembra che questi tre fatti, abbiano tra loro un’unica ratio: l’esercizio della propria facoltà di azione ossia l’impiego del potere, che sia politico, mediatico, economico. Se l’utilizzo è lecito, vi è un uso del potere, se è eccessivo, sconfina in abuso, se il potere lo si impone invece diventa sopruso. Ben vengano leggi chiare che delimitino e circoscrivano fattispecie che identifichino e puniscano abusi e soprusi. Mi pare però che la questione dell’uso del potere riguardi non solo le leggi, quelle vigenti e/o quelle che verranno, quanto l’etica, la morale di chi debba rispettarle, applicarle, farle osservare e rivelare. “Le parole insegnano, i fatti trascinano”, pare lo dicesse Sant’Agostino, non è che, in attesa che le leggi facciano il loro corso, sia magari il caso di incominciare a dare, noi tutti, la politica in primis buoni esempi? Temo che procedendo per regole, seppur valide e necessarie, la via per imparare sia lunga, più breve ed efficace sarebbe se si procedesse (anche) per esempi, o forse no?! C. G. Jung, eminente intellettuale del pensiero psicoanalitico e filosofico vissuto fino al 1961, diceva che “La società è organizzata non tanto dalla legge quanto dalla tendenza all’imitazione”, non potrebbe valere la pena di avere qualche legge in meno da osservare e tanti buoni esempi in più da imitare? Leggi chiare, riforme sostanziali, sono certamente indispensabili ma se amministrate o gestite da cattivi funzionari sono destinate a restare avulsi provvedimenti più che a trasformarsi in fatti significativi e concreti.

Si può chiedere alla politica (si badi bene non a questo o a quel governo, ma alla politica), alle istituzioni ed agli amministratori di fornire buoni esempi oltre che leggi ed impegnarci anche noi tutti a farlo?

Che magnifica rivoluzione sarebbe!

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