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Belli, bravi e perdenti.

Cosa ne è stata della capitale del Regno delle due Sicilie, di Partenope, la metropoli del passato senza un briciolo di futuro se ci si accontenta sempre dei due buffetti, come si fa con i bambini in risposta ai tentativi puerili di sorprendere l’adulto di turno?

Uno schema che ha fatto la fortuna del potente a danno del tapino, del facoltoso ad onta dei diritti del miserrimo a cui viene detto “bravo, complimenti ma posa la coppa”.

Si parla di pallone, ovviamente: “Cosa cacchio vuoi Spalletti, hai vinto lo scudetto” disse il “senza macchia Maldini” negli spogliatoi del Maradona, tra primo e secondo tempo del confronto tra Napoli e Milan nel girone di ritorno del campionato scorso, come a dire “stai calmo e non ti allargare troppo, mica vorresti vincere ancora?”.

Un espressione che è la dimostrazione incontrovertibile del super pensiero settentrionalistico espresso da una persona comunque perbene quale rimane l’ex capitano del Milan. La storia è piena di pacche sulle spalle a chi perde, ed è piena di perdenti che si sciolgono al calore delle lodi del vincente, troppo piena.

Per molte squadre di calcio l’Importante è risultare simpatici e per esserlo non basta avere i conti in ordine, la squadra forte o magari giocare bene: serve non portarsi a casa i trofei e lasciarli a chi magari fa i debiti per comprare i giocatori più forti che all’occorrenza saranno pure i più fortunati in quei “terni a lotto” che sono le decisioni arbitrali.

La fortuna, infatti, non fa più incontrare il talento con l’opportunità ma la fa incontrare con l’opportunismo, quello dei forti sui più deboli: il calcio ne è l’esempio più fulgido.

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