Torno a parlare di abusivismo della professione del perito assicurativo (art. 156 D. Lgs. 209/2005, comunemente detto Cap – Codice delle assicurazioni private), rispolverando qualche sentenza abbastanza recente che non ancora avevo avuto modo di commentare. Riallaccio i fili di un dibattito lungo decenni, provando a mettere insieme pezzi disparati che cominciano finalmente ad avere una coerenza.
Come noto, rare sono le sentenze nelle quali compiutamente ed esaustivamente si tratta l’argomento dell’esercizio abusivo della professione peritale così come tracciata dal Cap. Spesso, le poche pronunce non sono nemmeno molto allineate. Tuttavia, se si procede cronologicamente e logicamente nella ricostruzione di una ratio, si scopre una coerenza di sistema, con qualche precisazione qua e là pur doverosa.
Senza addentrarci nuovamente su tutti i precedenti orami ampiamente affrontati in altri luoghi (per tuti, si veda https://avvocatofusco.com/diritto-assicurativo-responsabilita-civile/periti-assicurativi/nullita-della-ctu-estimativa-se-il-consulente-non-e-iscritto-al-ruolo-ex-art-157-d-lgs-209-2005-nota-a-ordinanza-trib-ragusa-20-dic-2021/), proviamo ad andare al cuore della pronuncia che qui vorrei brevemente ricordare, non per compiere grandi commenti, ma per evidenziare che tale decisione si colloca in linea con i pur sporadici interventi in materia: di fronte ad essi, pronunce in senso contrario e poco chiaramente motivate, finiscono davvero col perdere lucentezza, mettendosi in un angolo da sole.
Cassazione civile, seconda sezione, dell’11 ottobre 2023 n. 28393, affronta il caso di un perito industriale condannato in via disciplinare prima dal Consiglio territoriale di Bari poi dal Consiglio Nazionale per aver compiuto, in qualità di ctu, grave violazione dei doveri professionali, avendo leso il prestigio e il decoro della categoria di appartenenza.
In effetti, il Tizio in questione, era stato nominato ctu in una causa di accertamento della responsabilità in un sinistro stradale, aveva ritirato le produzioni, aveva riscosso l’acconto, ma non aveva mai fatto attività, tant’è che era stato poi sostituito, procurando un ritardo di oltre un anno sull’andamento del giudizio in corso.
La sanzione della radiazione dall’albo era stata da lui giudicata troppo severa, ma soprattutto, riteneva Tizio che la sanzione irrogata fosse illegittima in quanto, a suo dire, non avrebbe dovuto essere sanzionato dall’ordine dei periti industriali bensì dalla Consap, organismo di controllo sui periti assicurativi: infatti, egli era anche iscritto al ruolo tenuto da Consap e l’incarico che aveva ricevuto lo aveva accettato, sempre a suo dire, in qualità di perito assicurativo, trattandosi di materia di infortunistica stradale.
Di contrario avviso il Consiglio Nazionale dei periti industriali, che riteneva che l’incarico avesse ad oggetto materia non riservata ai periti assicurativi, trattandosi più specificamente di ricostruzione di sinistro stradale.
La Cassazione ritiene infondata la tesi di Tizio, svolge argomentazioni sulla distinzione tra l’accertamento e la stima del danno e la ricostruzione del sinistro stradale, chiarendo ancora una volta che la seconda non è attività riservata, e procede poi sugli altri motivi di impugnazione proposti.
Ciò che qui vogliamo isolare è un inciso (primo motivo di impugnazione) che la Corte compie nel suo ragionamento, per arrivare alla conclusione, ossia 1) nel caso de quo, l’incarico aveva ad oggetto “l’indagine in ordine alla compatibilità eziologica dei danni causati dal sinistro” quindi la ricostruzione dello stesso; 2) trattandosi di materia non riservata ai p.a., essa attività era stata commissionata a Tizio in qualità di perito industriale, anche perché 3) al tempo dell’incarico Tizio era iscritto nell’albo ctu solo in qualità di perito industriale, non essendo inserito nella categoria di esperti in materia assicurativa, quindi non potevano esserci dubbi sulla sua soggezione al potere disciplinare dell’ordine di appartenenza e non all’organismo di vigilanza sui p.a.
Tanto detto, la Cassazione, in un passaggio assai significativo, precisa quanto segue:
“L’espletamento di una consulenza su incarico del giudice è esercizio di attività professionale, per cui l’interessato – anche per non incorrere in sanzioni penali (art. 348 c.p.) – deve essere iscritto anche nell’albo professionale della categoria professionale di appartenenza (o, per i periti assicurativi, nel ruolo di cui all’art. 157 d.lgs. 205/2009), benché le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile si limitino a prevedere all’art. 15 che possono ottenere l’iscrizione all’albo dei consulenti coloro che siano muniti di specifica competenza in una data materia (è invece venuto meno l’obbligo di appartenenza alle associazioni professionali, soppresse con D.lgs.369/1944)”.
Una statuizione importantissima, nel solco di numerosi precedenti, che prende posizione rispetto ad orientamenti contrastanti e a qualche pronuncia passata secondo cui le norme sull’abusivismo non troverebbero applicazione in ambito di consulenza tecnica d’ufficio. Ma sul punto non vogliamo ripetere argomentazioni già diffusamente esposte in altri scritti e contesti. Anche perché le decisioni in materia di abusivismo vanno coordinate con quelle che si occupano di ctu e sua nullità; ma anche di questo abbiamo già provato a parlare.
Sicuramente, ci si augura che la giurisprudenza, compresa quella di merito, continui su questa linea.
Continua la Cassazione:
“L’albo dei consulenti tecnici del tribunale è – a norma dell’art. 13 disp. att. c.p.c. – composto di sezioni distinte per categorie; tra esse debbono necessariamente comparire sia quella “industriale” che quella “assicurativa”.
“Per quanto qui interessa, il ruolo dei periti assicurativi è stato istituito con L. 166/1992 presso il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato. Le relative previsioni sono confluite, con talune modifiche, negli artt. 156 e ss. del D.lgs. 209/2005 (codice assicurativo), che attualmente prescrivono che il perito assicurativo è competente per l’accertamento e la stima dei danni alle cose derivanti dalla circolazione, dal furto e dall’incendio dei veicoli a motore e dei natanti soggetti alla disciplina del presente titolo; è previsto il divieto di svolgere l’attività peritale in tale materia da parte dei non iscritti nell’apposito ruolo.
A norma dell’art. 329 del codice, coloro che, nell’esercizio della loro attività, violino le norme del codice o le relative norme di attuazione, sono puniti, in base alla gravità dell’infrazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva, con una delle seguenti sanzioni: a) richiamo; b) censura; c) radiazione, che sono applicate dalla CONSAP ai sensi dell’articolo 331. Le controversie relative ai ricorsi avverso i provvedimenti sanzionatori sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
La Corte chiude, ribadendo e circoscrivendo la riserva di legge in favore dei periti assicurativi per l’accertamento e la stima dei danni derivanti dalla circolazione stradale, dal furto e dall’incendio di veicoli a motore (e natanti) soggetti all’obbligo assicurativo secondo quanto previsto nel Titolo X del Cap.
Anche sulla riserva di legge, sulla sua portata ed ampiezza, sulla sua derogabilità alla luce del comma 2 dello stesso art. 156 Cap si è scritto e detto tanto e tanto ancora si scriverà.
Per quanto la pronuncia sia stringata anche su questo punto, essa appare però andare dritta al fulcro della problematica. E per ora, tanto basta.
Mi piace ricordare, sebbene meno recente di altre già da noi annotate, un’altra pronuncia della Cassazione, questa volta penale.
Si tratta di Cassazione penale sezione II, del 24 ottobre 2019 n. 43950, anch’essa con il pregio di riferirsi specificamente ad un caso di esercizio abusivo della professione di perito assicurativo.
Il caso, non nuovo, riguarda un sequestro probatorio emesso dal PM presso il tribunale di Brindisi avente ad oggetto denaro contante nei confronti di Caio, sottoposto ad indagini in relazione ai reati di truffa ai danni di ente pubblico ed esercizio abusivo di una professione.
In sintesi, si riteneva che il denaro sotto sequestro provenisse dall’esercizio abusivo della professione peritale, svolta da Caio in spregio agli artt. 156 Cap e 348 cp.
L’indagato sosteneva in sua difesa che il denaro ritrovato era costituito dai risparmi da lui accumulati nel tempo, non essendo stata dimostrata la pertinenza dello stesso ai reati ipotizzati.
Vi sarebbe inoltre la violazione degli art. 156 Cap e 348 cp
“Deduce la difesa del ricorrente che non sarebbe ravvisabile nel caso in esame l’ipotizzato reato di cui all’art. 348 cod. pen. (unico per il quale è stato ritenuto applicabile il sequestro) essendo l’ordinanza impugnata priva di motivazione circa l’abitualità e l’onerosità dell’attività prestata dal Patisso atteso che la figura professionale del perito assicurativo è di natura generica e non rientrante nelle attività il cui svolgimento è riservato per legge a specifiche figure professionali”.
Il ricorrente, seguendo un orientamento minoritario della giurisprudenza in materia di esercizio abusivo della professione, sostiene che non si potesse raffigurare l’ipotesi di reato a lui imputata, ossia esercizio abusivo della professione di perito assicurativo, perché non era stato provato l’ esercizio abituale dell’attività (come a dire che l’esercizio occasionale è consentito) nonché la sua onerosità (come a dire che è consentito un esercizio a titolo gratuito sebbene in spregio alla riserva).
La Corte reputava fondate le censure relative all’insussistenza dei presupposti del sequestro per mancanza di prove circa la correlazione tra il denaro rinvenuto e i reati contestati, tra cui l’esercizio abuso della professione. Ciononostante, la pronuncia, per quanto qui ci interessa, appare utile e interessante per gli aspetti che ci riguardano.
“Il Patisso era da ritenersi indagato al momento della perquisizione atteso che a carico dello stesso erano emersi elementi tali da ritenerlo soggetto che era stato ritenuto concorrente in una truffa ai danni di ente pubblico nonché soggetto esercitante abusivamente l’attività di perito assicurativo”
“Nel momento in cui vi sono elementi che consentono di ritenere che il Patisso ha svolto l’attività di perito assicurativo, poiché per lo svolgimento di detta attività sono richieste dalla legge una speciale abilitazione e l’iscrizione al “Ruolo dei periti assicurativi” (cfr. artt. 157 e 158 d.Lgs. n. 209/2005), il difetto di tali requisiti è idoneo ad integrare il reato di cui all’art. 348 cod. pen.”
La Cassazione quindi delinea l’ipotesi di esercizio abusivo dell’esercizio della professione di perito assicurativo, dando rilievo alla previsione della iscrizione nel RPA, la cui mancanza di per sé, implica l’ipotesi di reato.
In un momento storico di grande confusione sui fondamentali in materia di esercizio della professione peritale ex art. 156 Cap, non possiamo che plaudire ad interventi chiarificatori della giurisprudenza, soprattutto di legittimità, che comincia ad inquadrare anche la violazione dell’art. 156 cit. nel solco del suo orientamento in tema di esercizio abusivo di una professione in senso lato.
© Annunziata Candida Fusco
Cass. 28393_2023
Cass. 43950_2019