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Valore probatorio della cd. perizia stragiudiziale

Prendo le mosse da una recente pronuncia della Cassazione per fare qualche osservazione sulla natura giuridica e il valore probatorio della cd. perizia stragiudiziale.

Si definisce così, secondo una terminologia invalsa in ambito giurisprudenziale, la consulenza a contenuto tecnico-specialistico prodotta in giudizio da una parte a supporto delle sue difese ed argomentazioni, fuori da un contesto di consulenza tecnica d’ufficio.

Cassazione 5362 del 28 febbraio 2025 affronta il caso di un inadempimento di un contratto di locazione finanziaria in cui era necessario determinare il valore dell’immobile ai fini della ricostruzione degli importi da restituire e delle penali da pagare. Non ci interessa qui scendere nei dettagli del caso. Ciò che interessa è la dinamica processuale che si è creata.

Il giudice d’appello ha ritenuto corretto che il giudice di merito avesse fondato il suo convincimento, relativamente al valore dell’immobile, esclusivamente su di una perizia stragiudiziale prodotta da una delle parti e non contestata dall’altra parte.

In realtà, come spiega la Cassazione, la Corte d’Appello ha errato su entrambi i fronti: 1) se il giudice decide di fondare il suo convincimento sulla perizia di parte, deve necessariamente motivare la sua scelta; 2) poiché la perizia stragiudiziale non ha autonomo valore probatorio, ma costituisce solo allegazione difensiva, non si può ad essa applicare il principio della non contestazione ex art. 115 cpc. Pertanto, non poteva il giudice di merito disattendere la richiesta di ctu avanzata dalla controparte fin dal primo grado di giudizio.

Riportiamo i passaggi principali dell’ordinanza sul punto.

«Occorre, se si fonda la decisione su una perizia diparte stragiudiziale, che il giudice “fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione” (così, tra gli arresti massimati, Cass. ord. 25593/2023, Cass. ord. 2193/2015, Cass. ord. 28649/2013 e Cass. ord. 26650/2011); ma ancor più importante è quella giurisprudenza di legittimità – pienamente condivisibile – che riconosce che la consulenza tecnica di parte, “costituendo una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico”, risulta essere
“priva di autonomo valore probatorio” (Cass. 259/2013) e costituisce una “mera allegazione defensionale di cui il giudice, per il principio del libero convincimento, deve fornire adeguata motivazione, qualora contenga dati o considerazioni ritenute rilevanti ai fini della decisione (Cass. ord. 2524/2023). E vanno altresì evocati ulteriori arresti quali Cass. ord. 34450/2022 (per cui le conclusioni raggiunte in una perizia stragiudiziale “non possono formare oggetto di applicazione del principio di non contestazione” ex articolo 115 c.p.c. perché “non assurgono a fatto giuridico suscettibile di prova, ma costituiscono un mero elemento indiziario soggetto a doverosa valutazione da parte del giudice”) e Cass. 2063/2010 (per cui la consulenza di parte “costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio”; conformi Cass. ord. 9483/2021, Cass. 20821/2006, Cass. 6432/2002 e Cass. 5151/1998)».

A parte la copiosa giurisprudenza citata dalla pronuncia, vale la pena ricordare un’altra decisione della Corte di Cassazione (2980/2023) che, oltre a confermare la natura della perizia stragiudiziale, va un po’ più a fondo sul tema.

In un caso di responsabilità professionale a carico di un avvocato, il Tribunale di Pavia prima e la Corte d’Appello di Milano poi assolvono il professionista, ritenendo non provato il danno del cliente. Questi, ricorrendo in Cassazione, sosteneva, tra le altre cose, che i giudici di merito non avessero tenuto in debito conto le sei perizie stragiudiziali prodotte a corredo della sua posizione.

Ancora una volta la Corte, disattendendo la tesi della natura di prova atipica della consulenza di parte, ribadisce il suo orientamento: «la “perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto” (Cass. Sez. 5, ord. 27/12/2018 n. 33503; Cass. Sez. 3, sent. 22/04/2009 n. 9551)».

A tale principio si aggiunge un ulteriore corollario, pure esso ripetutamente affermato dalla Corte, e che attiene alla possibilità di chiamare a testimoniare il professionista che redatto la perizia, chiedendogli di confermarne il contenuto. Può trattarsi anche di perizia giurata. Il punto è quale discrezionalità ha il giudice di decidere se ammettere o meno la prova testimoniale agli autori delle perizie. Nel terzo motivo di ricorso si lamentava proprio che fosse stata respinta la richiesta di prova testimoniale sulle perizie prodotte. La Corte, ritenendo fondata la lagnanza espressa, ribadisce il suo orientamento con fermezza:

«Si è detto come la perizia giurata, depositata da una parte, non sia dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, avendo valore di semplice indizio; nondimeno, alla parte che ha prodotto la perizia è “riconosciuta la facoltà di dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente, che, se confermate dal medesimo in veste di testimone, possono acquisire dignità e valore di prova, sulla quale allora il giudice di merito dovrà, esplicitamente o implicitamente, esprimere la propria valutazione ai fini della decisione” (Cass. Sez. 2, sent. 19/05/1997, n. 4437; in senso conforme; Cass. Sez. 3, sent. 25/02/2002, n. 2737)».

Avrebbe potuto il danneggiato supportare il suo apparato probatorio anche attraverso la prova testimoniale sul contenuto delle perizie prodotte, cosa che invece i giudici di merito avevano erroneamente escluso: «ha errato la Corte ambrosiana nel ritenere che a tale deficit probatorio non potessero “supplire le dedotte prove testimoniali, perché finalizzate alla conferma di atti di parte”».

«Scopo della prova testimoniale, per contro, era di assicurare che quei documenti, fino ad allora dotati di valore meramente indiziario, potessero – grazie all’esame dei loro autori – “acquisire dignità e valore di prova”, sulla quale allora il giudice di merito avrebbe dovuto “esplicitamente o implicitamente, esprimere la propria valutazione”. La decisione, dunque, di escludere siffatta prova testimoniale – sull’errato presupposto che essa fosse diretta a confermare atti di parte – inficia di nullità la sentenza impugnata, se è vero che “la motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il “minimo costituzionale”, qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova” ( Cass. Sez. 3, ord. 9/11/2017, n. 26538; cfr. anche Cass. Sez. 3, sent. 22/06/2016 n. 12884)».

In conclusione, la Corte cassa con rinvio la sentenza impugnata sulla base del seguente principio di diritto:

E’ affetta da nullità la decisione del giudice di merito di escludere l’esame
testimoniale degli autori di perizie stragiudiziali, allorché motivata sul rilievo che siffatta prova per testi risulti finalizzata a confermare atti delle parti, essendo facoltà di ciascuna di esse dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal perito.

© Annunziata Candida Fusco

Cass. 5362_2025Cass. 2980-2023
Professione forense

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